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21 Febbraio 2019 News

La depressione è uno dei disturbi psichici più comuni e invalidanti.  La percentuale di persone che soffrono di depressione sembra aumentare costantemente nel tempo e, non a caso, l’OMS ha previsto che nel giro di pochi anni la depressione sarà la seconda causa di invalidità per malattia, subito dopo le malattie cardiovascolari. Sul piano epidemiologico, la depressione è sempre più diffusa ed è il disturbo psichiatrico più comune: dal 10% al 20% della popolazione adulta viene colpito dal disturbo depressivo nel corso della vita. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, oggi circa 300 milioni di persone soffrono di depressione.

La depressione di per sé non è da considerare come malattia, quanto piuttosto un affetto, una realtà radicata nella nostra evoluzione psichica, una sorta di condizione indispensabile per la creatività, un sentimento abituale dell’uomo. La nostra esistenza è segnata infatti da momenti di inevitabile dolore. La vita infatti comporta delusioni, fatiche, perdite, che a volte stravolgono l’ordine del mondo in cui si credeva. Pensiamo, ad esempio, alla morte di una persona cara, alla fine di un amore, alla perdita di un lavoro o di un riconoscimento sociale: sono tutti eventi che segnano una crisi nel nostro equilibrio interiore, aprono ferite dolorose o ne riaprono di vecchie.

C’è bisogno di tempo per venire a patti, elaborare le perdite: i movimenti psichici richiedono gradualità e una certa lentezza. In alcuni casi questi processi possono anche incagliarsi e si fa fatica a riemergere da soli: la fiducia sembra affievolirsi; il dolore può diventare così insostenibile da spingere alla solitudine. La perdita di una persona o di una condizione esistenziale che offriva sicurezza e solidità può gettarci in un abisso: ci sentiamo persi in un buio senza fine, nell’impossibilità di ritrovare un contatto, un affetto, una speranza. A volte ciò che si sente perduto o mancante ha che fare con il proprio Sé: come se ci fosse un pezzo difettoso, qualcosa in meno, qualcosa che un tempo c’era e ora non si trova più.

Sentimenti di mortificazione, inadeguatezza, fallimento, disperazione, colpa possono via via offuscare il piacere della vita.

Definizione di depressione

La Depressione è un disturbo del tono dell’umore, funzione psichica importante per l’adattamento. L’umore è generalmente flessibile: quando gli individui vivono eventi o situazioni piacevoli, esso flette verso l’alto, mentre flette verso il basso in situazioni negative e spiacevoli. Chi soffre di depressione non mostra questa flessibilità, ma il suo umore è costantemente flesso verso il basso, indipendentemente dalle situazioni esterne.

Non a caso, dunque, chi presenta i sintomi della depressione mostra frequenti e intensi stati di insoddisfazione e tristezza, tendendo a non provare piacere nelle comuni attività quotidiane.

In generale, sentirsi depressi significa vedere il mondo attraverso degli occhiali con le lenti scure: tutto sembra più opaco e difficile da affrontare, anche alzarsi dal letto al mattino o fare una doccia. Molte persone depresse hanno la sensazione che gli altri non possano comprendere il proprio stato d’animo e che siano inutilmente ottimisti.

Quali sono i sintomi principali della depressione?

Il DSM (Manuale diagnostico dei disturbi mentali) mette in primo piano i sintomi biologici e somatici della depressione, ma trascura i vissuti soggettivi.

  • I sintomi della depressione più comuni sono la perdita di energie, senso di fatica, difficoltà nella concentrazione e memoria, agitazione motoria e nervosismo, perdita o aumento di peso, disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), mancanza di desiderio sessuale e dolori fisici.
  • A questi però vanno uniti anche i vissuti emotivi tipici della depressione: le emozioni sperimentate da chi ne soffre sono la tristezza, l’angoscia, la disperazione, l’insoddisfazione, il senso di impotenza, la perdita della speranza e il senso di vuoto.
  • I sintomi cognitivi più comuni sono la difficoltà nel prendere decisioni e nel risolvere i problemi, la ruminazione mentale (restare a pensare al proprio malessere e alle possibili ragioni), autocritica e autosvalutazione, e pessimista.
  • I comportamenti che contraddistinguono la persona depressa sono l’evitamento delle persone e l’isolamento sociale, i comportamenti passivi, frequenti lamentele, la riduzione dell’attività sessuale e i tentativi di suicidio.

Le conseguenze della depressione quali possono essere?

Le conseguenze della depressione si possono riscontrare in diversi ambiti della vita dell’individuo. Chi ne soffre ha importanti ripercussioni sulla vita di tutti i giorni, dalla famiglia al lavoro. L’attività scolastica o professionale della persona depressa può diminuire in quantità e qualità soprattutto a causa dei problemi di concentrazione e di memoria. Questo disturbo, inoltre, porta al ritiro sociale e con il tempo danneggia le relazioni con il/la partner, figli, amici e colleghi.

In chi soffre di depressione, l’umore condiziona anche il rapporto con sé stessi e il proprio corpo. Tipicamente, infatti, chi è depresso ha difficoltà a curare il proprio aspetto, mangiare e dormire in modo regolare.

Non bisogna trascurare le conseguenze della depressione a livello fisico: l’American Heart Association (2014), ad esempio, ha evidenziato che la depressione è associata ad un aumentato rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e cerebrovascolari.

Chi soffre di depressione va incontro ad un ulteriore costo molto alto da pagare: soffrire a lungo e in forma grave del disturbo porta l’individuo a pensare, e spesso tentareil suicidio. Molte volte infatti, chi soffre di questo disturbo si toglie la vita lasciando nel pieno sconforto amici e parenti.

L’affetto depressivo

L’evento “chiave” che può innescare l’affetto depressivo è la perdita, la perdita di qualcuno o qualcosa che si ritiene necessario per il mantenimento del benessere psichico. Allo stesso tempo questo cambiamento si denota anche come perdita di uno stato del Sé, come un venir meno della stabilità interiore e del sentimento del proprio valore, della propria capacità. L’affetto depressivo implica sempre quindi un calo dell’autostima e un impoverimento del Sé: chi è depresso si sente scarico, svuotato, non crede più in se stesso e si considera un fallito.

Bleichmar (1996, 1997), riprendendo Freud (1926), evidenzia come oltre alla perdita, debba sussistere anche la mancata accettazione della stessa e il permanere del desiderio nei confronti dell’oggetto perduto, desiderio destinato a rimanere insoddisfatto per sempre perché la propria aspirazione al ricongiungimento con esso rimarrà sempre tale. Infine, perché si determini una compromissione dell’autostima e si configuri un’esperienza depressiva, è necessaria la presenza dell’aggressività, un’aggressività diretta contro se stessi. La fragilità costitutiva del sentimento di sè può talvolta portare a cercare affannosamente i rifornimenti per l’autostima soprattutto nel mondo esterno, nelle situazioni di vita e nelle relazioni. È questo il caso di individui che mostrano una difficoltà “strutturale” nel dare continuità al senso del proprio valore in assenza di conferme e di riconoscimenti provenienti dall’esterno. Si parla in questi casi di “depressione anaclitica” (il termine “anaclitico” fa riferimento all’appoggiarsi su qualcuno/qualcosa), caratterizzata prevalentemente da angoscia di abbandono e senso di isolamento, da un pervasivo bisogno di essere amati “nutriti” e protetti da persone o situazioni particolarmente investite sul piano affettivo.

Ci sono circostanze in cui l’affetto depressivo “non trova le parole” e si esprime nel corpo, con somatizzazioni di vario genere, si parla in questo caso di “depressione mascherata”: non si osserva il tipico abbassamento del tono dell’umore, mentre prevalgono i sintomi somatici come dolori diffusi, disturbi gastrointestinali, cefalea, insonnia, stanchezza persistente o altri sintomi fisici. L’espressione nel corpo del disagio depressivo risulta particolarmente importante nei bambini – che ancora non dispongono di adeguati mezzi verbali e di capacità cognitive che consentano di dar voce alle loro emozioni – e negli adolescenti o negli anziani, per i quali il corpo, anche se per motivi molto diversi, assume nel vissuto soggettivo un’importanza centrale.

Talvolta è invece un ricorrente stato di agitazione a mascherare un sottostante assetto depressivo: il sentimento di incapacità e fragilità intrinseco alla depressione fa sì che ogni cosa, ogni impegno, scelta o relazione, possa diventare una minaccia al proprio equilibrio. L’allerta permanente che ne consegue si manifesta con una sintomatologia ansiosa, in apparente assenza di depressione; nella pratica clinica sono frequenti i casi di ansia che, ad un esame più approfondito, si precisano in realtà anche come disturbi depressivi (depressione agitata).

Infine la depressione può presentarsi insieme alla patofobia, con il convincimento angoscioso di essere affetti da qualche malattia fisica, grave o mortale, in assenza di una corrispondente patologia organica riscontrabile nella realtà. Spesso questa condizione si accompagna al corteo dei diversi sintomi che caratterizzano il quadro clinico tipico della depressione, ma a volte appare essenzialmente come angoscia ipocondriaca, come terrore di fronte alla malattia di cui ci si crede portatori, come una “depressione senza affetto depressivo”.

Come si può intervenire?

Nel trattamento della depressione si ricorre alla terapia con antidepressivi e alla psicoterapia, entrambe di fondamentale importanza.

La terapia con antidepressivi è unicamente sintomatica, agisce cioè sui sintomi ed è necessaria quando la loro gravità inibisce la vita sociale, lavorativa e affettiva.

Intervenire solo con i farmaci però molte volte non basta: va ricordato infatti che le cause della depressione non sono soltanto di tipo biologico e che il disturbo può insorgere anche per motivi di natura psicosociale.

In molti casi, proprio quando la gravità dei sintomi inibisce la vita sociale, relazionale e professionale dei pazienti, ricorrere alla sola psicoterapia non è una scelta corretta: è bene, infatti, intervenire farmacologicamente sui sintomi, in modo da ridurne la gravità e iniziare così un percorso di psicoterapia. Quest’ultimo in particolare può offrire uno spazio di accoglienza e riconoscimento dei propri vissuti, sostiene la persona in un percorso di conoscenza di sé volto a mettere in parola quel dolore prima rappresentato dalla depressione o da un corpo sofferente.


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20 Dicembre 2017 News

Sta per arrivare il Natale, la tradizionale festa della famiglia!

Si tratta di un’occasione per ritrovare, recuperare e consolidare i legami affettivi e i sentimenti di appartenenza. Si addobba la casa, l’albero di Natale, si partecipa a pranzi e cene luculliane, ci si scambia i regali…la tradizione e l’educazione ci hanno indotto a vivere magicamente il lungo periodo natalizio.

Ma a Natale siamo tutti più buoni e più felici?

Non è proprio così…ci sono molti più Grinch di quanto immaginiamo!

Comprare tutti i regali, organizzare cene con parenti e amici, valutare l’anno trascorso, il riaffiorare del ricordo di chi non c’è più, ma soprattutto mostrarsi in sintonia con il clima di festa: tutto ciò può generare uno stato di frustrazione, tristezza e depressione.

Più in generale il fastidio, l’irritazione e il desiderio che il periodo natalizio finisca il prima possibile, possono essere identificati come i sintomi della “depressione Natalizia” o “Christmas blues” come la definiscono gli americani.

L’aspetto positivo è che questo stato psicologico non si può considerare patologico: si tratta di un malessere che trova la sua risoluzione con il rientro alla propria routine quotidiana dopo l’epifania.

I sintomi più comuni sono:

  • Mal di testa
  • Incapacità a dormire o dormire troppo
  • Cambiamenti nell’appetito causati da perdita o aumento di peso
  • Agitazione o ansia
  • Senso di colpa eccessivo o inappropriato
  • Diminuzione della capacità a pensare chiaramente o a concentrarsi
  • Diminuzione dell’interesse in attività che normalmente portano piacere come: cibo, sesso, lavoro, amici, hobby e divertimenti.

L’incontro con i propri familiari e amici, se forzato, può portare l’individuo a scontrarsi con gli aspetti disfunzionali delle proprie relazioni, situazioni conflittuali irrisolte generano disagio e tensione.

Queste occasioni ci costringono a confrontarci con noi stessi e con gli altri dovendo rispondere spesso a domande indiscrete o inopportune, che generano sensazioni di rabbia, ansia, tristezza e frustrazione. In particolare, per le persone che stanno affrontando una fase particolarmente difficile della loro vita (separazione, lutto, difficoltà lavorative), i sentimenti di solitudine e abbandono si acutizzano in prossimità delle festività e il ricordo di eventi dolorosi diventa più difficile da gestire.

La depressione natalizia non è una malattia, ma una sorta di crisi esistenziale accompagnata da malinconia, una specie di “depressione post partum”: così come la donna che ha appena partorito spesso è depressa mentre tutti si aspettano che sia felice e piena di entusiasmo, allo stesso modo una persona con un disagio interiore si sente chiamata a esternare felicità per rispondere al clichè della gioia del Natale (P. Vinciguerra).

La depressione natalizia può però originare anche dall’eccesiva aspettativa di gioia associata a questo evento, per alcuni il Natale stimola a rimuginare sull’inadeguatezza della propria vita e sulla precarietà dei legami. Le festività rappresentano infatti una pausa dalla routine quotidiana e quindi cambiamenti nelle abitudini e nelle attività, il tempo libero può far riaffiorare i problemi e le difficoltà fino a quel momento apparentemente gestiti o ignorati.

Per coloro che già soffrono di disturbi dell’umore, il Natale può far peggiorare la sintomatologia clinica e portare a manifestare risposte emotive negative, agitazione, disperazione e ritiro. Purtroppo questo periodo dell’anno si caratterizza anche per un’elevata acutizzazione di crisi depressive con possibile rilevanza di tentativi di suicidio e decessi alcol correlati.

Nel caso in cui lo stato di sofferenza psicologica si manifesti con una sintomatologia importante, è indispensabile consultare un professionista della salute mentale per impostare un intervento di cura mirato.

Occuparsi del proprio disagio è importante oltre che utile.

Se si vive un momento difficile non ci si può costringere a far finta di nulla, ostentando una felicità e una serenità fittizia.


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31 Maggio 2017 News

 

Siamo animali sociali ma preferiamo soffrire da soli. Si preferisce condividere con gli altri le risate, i momenti sereni; la routine quotidiana ci permette di andare avanti mantenendo il controllo proteggendoci dall’ intimità nella quale si nasconde la sofferenza emotiva. Ma può arrivare un momento in cui arriviamo a rifiutare il contatto con gli altri perché ci provoca disagio, un momento nel quale tutto inizia a perdere significato.

Soffrire in silenzio senza fare nulla vietandosi la possibilità di chiedere aiuto non fa altro che intensificare il dolore e farlo durare più a lungo. L’ombra del dolore inizia ad avvolgere ogni cosa e la luce della via di uscita si offusca divenendo impossibile da raggiungere. Costruire un guscio privato che avvolge e nasconde dove soffrire in silenzio, la solitudine permette di non far emergere nulla all’esterno, ci protegge dal giudizio e dalla critica.

Rifiutarsi di chiedere aiuto condividendo ciò che accade dentro di noi con una persona di fiducia o un professionista non fa che accrescere l’idea che la sofferenza debba essere avvolta dal silenzio e affrontata in solitudine per non mostrarci al mondo deboli e vulnerabili.

La depressione post-partum o durante la fase di gestazione è ancora oggi considerata un tabù in quanto spesso le donne vengono giudicate e condannate per questo. Quello che ci si aspetta da una neo-mamma è che sia felice e pronta ad affrontare questo importante cambiamento: questo stereotipo spinge molte donne a viversi questa esperienza in silenzio e in solitudine per evitare le critiche della società.

Gli adolescenti vittime di bullismo spesso scelgono di rifugiarsi all’ interno delle loro camere dove si sentono protetti e sicuri senza chiedere aiuto per ciò che stanno vivendo.

Le ferite emotive non guariscono da sole, al contrario sono materiale su cui lavorare per poter individuale le radici che sono alla base del dolore. E’ fondamentale pertanto rivolgersi ad uno psicoterapeuta che ci aiuti ad affrontare il dolore che ci causa ansia e depressione.

Il processo terapeutico è sicuramente un percorso lento e laborioso ma permette di poter uscire dal guscio di silenzio e solitudine che ci protegge ma nello stesso tempo ci isola, per poterci riappropriare della spontaneità e l’autenticità che ci rendono unici.

“Il dolore psichico è uno strano sentimento, ti abbandona solo se ti sei abbandonato a lui. Se rifiuti di viverlo non ti lascia più” (F. Fornari).


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